INDOSSI ANCORA LA CORAZZA?

Indossi ancora la corazza?

INDOSSI ANCORA LA CORAZZA? TI RACCONTO LA MIA STORIA.

Per questo nuovo articolo mi ero appuntata diversi temi ed ero indecisa tra alcuni argomenti da proporti. Tra questi c’erano l’elaborazione del lutto, l’agorafobia, e come uscire da relazioni che ci fanno soffrire. Ero pronta a condividere suggerimenti, sollecitare la tua capacità di farti riflettere e magari riuscire a farti provare qualcosa di diverso che potesse stimolarti ad uscire dalla tua situazione limitante.

Beh, spero non deluderti ma questa volta non scriverò nulla di tutto questo.  Ho deciso di parlarti di me e di come sto vivendo, gestendo e affrontando l’avvio della mia attività in proprio di COUNSELLING.

Parlare di sé è un esercizio difficile: la nostra società tende a boicottare l’esternazione dei propri sentimenti soprattutto se sei un adulto perché vieni giudicato come una persona fragile, destrutturata, senza midollo, insicura. Immagino tu non abbia mai etichettato un bambino che piange come “ipersensibile”. Ma cosa diresti di un manager di punta che in lacrime confessa di avere una vita vuota? Magari ne parla al suo terapeuta, ma non con te per paura di sciupare la sua immagine e la sua credibilità come professionista.

Credo invece che, da adulto, avere il coraggio qualche volta di mostrarsi per quello che si è veramente sia segno di coraggio, forza interiore, fiducia in sé e dimostrazione di fiducia negli altri. 

Quando ti togli la corazza e mostri la tua vulnerabilità condividendo le tue preoccupazioni, oltre ad essere congruo con te stesso impari ad essere autentico. E questo è un vantaggio competitivo.

Ma arriviamo a me. Molti anni fa (ero ancora una ragazzina) ho iniziato ad indossare un’armatura per sopravvivere in una società competitiva e giudicante.

La parola “educare” arriva dal latino educere che significa “portare fuori”. Ma potremmo parlare di “inducazione” dato che per farci strada in questo mondo ci viene insegnato cosa è giusto e cosa è sbagliato; come dovremmo idealmente agire, pensare e comportarci, limitando e standardizzando la nostra autonomia personale.
Fin dalla scuola siamo invitati ad essere competitivi. Se non sei il migliore ti precludi (apparentemente) tutta una serie di possibilità e cominci a credere che il tuo valore dipenda solo dai successi e dagli elogi che ricevi. Così diventi ossessionato dal bisogno di fare sempre di più e sempre meglio per distinguerti e superare gli altri.

Ed è quello che ho fatto.

  • ho studiato (tanto…ancora adesso)
  • ho iniziato a postare su su Instagram LinkedIn (io che non ho mai avuto “social”)
  • ho creato un sito per il quale ho cercato di trovare le parole giuste
  • ho cercato per mesi il nome da dare alla mia attività
  • ho messo in piedi ed erogato alcuni momenti formativi per divulgare la mia professione
  • ho creato dei flyer
  • ho preparato un’ottantina di bigliettini motivazionali da pubblicare nel mio SPAZIO ZEN
  • cerco di uscire regolarmente con articoli come questo
  • ho preso contatto con amici, privati ed aziende per provare a crearmi opportunità di lavoro come counsellor

Mi sono data un gran da fare per realizzare il mio sogno professionale, spendendo molta energia.

Sono poi arrivate le parole di chi vedeva la mia fatica, il mio senso di frustrazione per tutta l’energia investita e i pochi risultati tangibili. “Non preoccuparti, vedrai che andrà bene” / “Devi solo portare pazienza” / “Non abbatterti, sei coraggiosa e ce la farai”.
Ma il punto è che quando vuoi dimagrire non è sentendoti dire “non mangiare cibo spazzatura” che ottieni risultati perché il cervello non è capace di concettualizzare una negazione. Se ti dico “non pensare al mare”, nei tuoi pensieri la prima immagine che affiora è legata alla tua esperienza del mare, non del “non mare”!

Al posto di sentirmi capita mi sentivo sempre più lontana dai miei obiettivi finché mi sono posta una domanda:

Ma per chi lo stai facendo? per te stessa o per essere vista e dimostrare agli altri quanto vali?

Caro lettore, questo pensiero è stata come un’onda che mi ha sorpresa alle spalle destabilizzandomi e ha prodotto uno tsunami di riflessioni edificanti che condivido con te di seguito.

Lo so che lo sto facendo per me. So che questa attività mi arriva dal profondo del cuore e che non lo sto facendo come puro esercizio tanto per trasformare la teoria appresa in qualcosa di pratico. So che sono sulla strada giusta e devo solo dimensionare le mie aspettative ed avere fiducia.

In fondo, secondo i principi della fisica quantistica esistono là fuori infinite possibilità. E c’è anche la mia che aspetta. Basta crederci e avere profonda fiducia, dimostrandosi per quello che si è. Con i propri punti di forza e le proprie fragilità, consapevoli che non abbiamo bisogno di edulcorare la realtà né indossare una corazza per esprimere al mondo il nostro valore. 

E tu come stai onestamente? Indossi ancora una corazza di cui ti vorresti sbarazzare? Possiamo parlarne insieme. Contattami.

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